martedì 26 aprile 2016

Ricordando un amico...

Con emozione segnaliamo al nostro affezionato pubblico l'iniziativa dell'Istituto Comprensivo "G. Galilei" di Corsico (MI) "Ricordando un amico" dedicata al M° Bruno Rondinella, per molti anni primo violino di spalla e - soprattutto - prezioso amico della nostra Orchestra, che si terrà venerdì 29 aprile 2016 alle ore 21 presso il Teatro Verdi di Corsico (MI):

https://www.facebook.com/Istituto-Comprensivo-G-Galilei-Corsico-MI-410694915751369/?fref=nf

http://www.icgalileicorsico.gov.it/it/articolo/ricordando-amico

Orchestra da camera della città di Legnano Franz Joseph Haydn
sito web: www.orchestralegnano.org
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lunedì 18 aprile 2016

Stagione concertistica 2015-2016 - Note accompagnatorie al terzo concerto.

A causa di un incoveniente tecnico, non è stata pubblicata sul sito la versione estesa delle note di sala del terzo concerto conclusivo della stagione 2015-2015. Le riportiamo di seguito scusandoci con l'autore e con i nostri lettori.

Introduzione al concerto
Concludiamo la stagione con un concerto dedicato interamente al Beethoven del cosiddetto “secondo periodo stilistico”, quello della piena maturità, che vede susseguirsi molti dei più celebri capolavori, orchestrali e non, del compositore. Il Beethoven più beethoveniano che ci sia, almeno per il grande pubblico: quello dei grandi contrasti, del volontarismo eroico, dell’afflato epico, della sfida al destino. E tra essi, proprio l’«Eroica» costituisce la sfida più ardua, non solo per il confronto che impone con i più grandi interpreti, ma anche per l’intrinseca complessità concettuale e musicale, ineguagliata persino da Beethoven, se non nella Nona Sinfonia e nella Missa Solemnis. Una pietra miliare del repertorio, quindi, che il direttore Balleello, giunto ormai quasi al compimento del ciclo completo delle nove sinfonie, ha deciso di affrontare proprio per il primo concerto nel nuovo teatro. E noi, insieme a tutto il pubblico, non possiamo che augurargli “Ad maiora, Maestro!”.

Il programma
Ludwig van Beethoven – «Coriolano», Ouverture in Do min. Op.62
Il «Coriolano», del 1807, è la più famosa ouverture di Beethoven. Essa non fu scritta per il dramma di Shakespeare, bensì come introduzione a una tragedia di Joseph von Collin, poeta stimato persino da Goethe, ma che oggi, non fosse per Beethoven, sarebbe dimenticato. Tratta dalle «Vite parallele» di Plutarco, essa narra di Coriolano, eroe romano condannato all’esilio presso i Volsci, che per vendetta guida questo popolo alla conquista di Roma. Ma si ferma, giunto sotto le mura dell’Urbe, dopo aver udito le implorazioni rivoltegli dalla madre e della moglie Volumnia, ed è a quel punto ucciso dai Volsci che lo considerano a loro volta un traditore. Un dramma di questo genere non poteva non sedurre l'autore dell’«Eroica» e del «Fidelio», che seppe farne una prefigurazione, nel disegno psicologico dei personaggi, del poema sinfonico. Il brano è scritto nella forma-sonata bitematica con sviluppo centrale, mentre fino ad allora le “overture” erano nella più semplice forma ternaria ABA. Il primo gruppo tematico, in Do minore, la tonalità beethoveniana per antonomasia, caratterizza l'anima indomita di Coriolano (qualcuno si ricorderà la pubblicità di un amaro, in un vecchio Carosello, in cui un pugno guantato si abbatteva su un tavolo al suono di queste note…). A questo tema pieno di disordine e furia si oppone il secondo, in Mi bemolle maggiore, che rappresenta la preghiere e la tenerezza di Volumnia. Accenniamo al fatto che Beethoven riconduceva la natura contrastante dei suoi temi non solo a ragioni espressive o drammaturgiche, ma anche alla contrapposizione, enunciata da Kant nei «Fondamenti metafisici della scienza della natura», tra “principio di opposizione” e “principio implorante”. Lo sviluppo è caratterizzato dallo scontro tra due diversi frammenti del tema di Coriolano, a significarne il drammatico contrasto interiore. Nell’ampia ripresa sembra prevalere gradualmente il tema di Volumnia. La coda, nella quale il tema di Coriolano è affidato ai violoncelli, si acquieta progressivamente, per concludersi con tre pizzicati in pianissimo dei soli archi: l’eroe ha accettato il suo destino.

Ludwig van Beethoven – Sinfonia n°3 in Mi bemolle maggiore op.55 «Eroica»
La Terza Sinfonia, i cui abbozzi risalgono al tragico soggiorno estivo del 1802 ad Heiligenstadt, durante il quale il musicista scoprì i primi segni della sordità, fu meditata per un lungo periodo, e scritta tra la primavera del 1803 e il maggio del 1804. «Sto componendo qualcosa di veramente nuovo» confidò un giorno Beethoven ad un amico. E la Terza sarebbe sempre rimasta, tra tutte le sinfonie, la più amata dal suo creatore. La prima udienza privata avvenne presso il palazzo viennese del principe Lobkowitz (uno dei tanti mecenati di Beethoven, e dedicatario finale dell’opera), mentre la prima esecuzione pubblica, diretta dal compositore al teatro “An der Wien”, risale all’Aprile 1805. I giudizi dei critici viennesi dell’epoca furono piuttosto duri: la trovarono “interminabile”, “incoerente” e perfino “soporifera” (!), mentre oggi si riconosce unanimemente che quest’opera colossale, come forse nessun’altra né prima né dopo, ha influito in maniera determinante su tutto lo sviluppo successivo della musica occidentale. Ciò che deve indurre l’ascoltatore consapevole, ma anche l’interprete, a chiedersi: fino a che punto si sta ascoltando (o interpretando) l’opera per come essa era stata concepita, e non invece il suo mito? Una questione alla quale è arduo rispondere, ma che, a nostro parere, sarebbe sempre utile porsi al cospetto di tutti i capolavori fondativi della nostra cultura, non solo musicale.
Per quanto riguarda la storia della dedica a Napoleone, tolta, rimessa e infine ritirata definitivamente e sostituita dal famoso sottotitolo sul “sovvenire di un grand’uomo” - dopo che il còrso si era autoproclamato imperatore alla fine del 1804, essa è lunga e ben conosciuta. Pertanto, non vi insisteremo troppo, se non per far notare come in Beethoven potessero coesistere senza problemi l’ideale rivoluzionario sincero e il sostegno economico da parte dell’aristocrazia d’ancien regìme, la dedica di un’opera a Napoleone e l’Ode al duca di Wellington vincitore a Waterloo, oppure le altissime meditazioni filosofiche degli ultimi capolavori insieme a piccinerie al limite della truffa nei confronti degli editori, per non dir d’altro. Insomma, da una parte sta l’uomo con tutte le sue debolezze, da un’altra sta il regno incontaminato dell’arte e dell’ideale. In ogni caso, qualunque sia stata l’occasione che ha favorito la nascita della Terza Sinfonia, ciò che conta davvero, e che ne fa la grandezza, è il fatto che essa venga poi interamente risolta in valori puramente musicali. E’ dentro la musica, nei suoi rapporti dialettici, nella sua costruzione, nel suo faticoso procedere verso la luce, che Beethoven trasforma in sentimenti universali ed eterni lo spirito eroico e l’epos delle battaglie napoleoniche, o l’anelito dell’umanità nuova nata dalla Rivoluzione francese e dalla Dichiarazione dei Diritti dell’Uomo. Tornando alla nostra opera, l’aspetto immediatamente evidente è la sua lunghezza complessiva, davvero inusitata per l’epoca: essa verrà superata solo da quella della Nona Sinfonia, ed insieme queste due opere resteranno le più lunghe sinfonie fino alla seconda metà dell’800.
L’organico orchestrale è lo stesso della Prima e della Seconda, ma con la significativa aggiunta di un terzo corno, che suonerà spesso a parti divise rispetto agli altri due e assumerà in vari passaggi il ruolo del protagonista.
L’Allegro con brio dura 841 battute, quanto un’intera sinfonia settecentesca, dilatando e tendendo fino al limite la forma. La dialettica sonatistica vi è mantenuta, ma occultata dalla straordinaria continuità del discorso musicale e dalla mirabile unità tra i temi, tutti sottilmente collegati alle misure iniziali: nemmeno una nota è lasciata al caso o è puramente decorativa. Questa sottigliezza, questa rete di relazioni lontane ne costituiscono anche la principale difficoltà d’ascolto. Il movimento, in un 3/4 insolito in un primo tempo di sinfonia (ma ne capiremo la ragione tra breve), comincia con due bruschi, imperiosi accordi, proprio come se si aprisse il sipario su un nuovo mondo musicale. Essi sono immediatamente seguiti dall’enunciazione del primo tema da parte dei violoncelli. Questo motivo, che costituirà l’ossatura portante di tutto il gigantesco primo movimento, non è altro che un semplice arpeggio di tonica, del tutto simile – per esempio - a quello che apre il giocoso Singspiel Bastien und Bastienne di Mozart oppure la bucolica Seconda Sinfonia di Brahms. Un motivo in sé così poco caratterizzato e poco tematico da non sembrare per nulla adatto alle peripezie alle quali l’autore lo destinerà: qualsiasi altro compositore qui avrebbe scelto un tema eroico, o nobile, o cavalleresco. Beethoven no. Egli ha ben altre frecce nella sua faretra, e lo si inizia a capire già alla settima misura, quando accade il primo avvenimento inaspettato: la frase termina quasi subito su un Do diesis, nota estranea all’armonia di Mi bemolle maggiore. Più avanti scopriremo che questa apparente bizzarria è in realtà una porta che si aprirà su mondi lontani. Così sapeva gettare i suoi ponti Beethoven! Il tema viene ripreso, ed appare un’altra trovata: i corni se ne impadroniscono subito, iniziando a conferire il colore epico alla sinfonia. Poi, dopo un breve crescendo e una finta modulazione verso la dominante, si giunge ad un altro punto fondamentale: un primo climax, nel quale l’orchestra scandisce accordi in tempo di 2/2 sopra il ritmo di 3/4, generando in questo modo una fortissima tensione. Ci avvediamo ora che questa sinfonia ha anche un … motore, la pulsazione ritmica, che la trasporterà molto lontano. Era già partito prima, sommessamente, ma non ce ne eravamo nemmeno accorti. La terza riproposizione del tema (che a questo punto iniziamo a percepire come un aprirsi faticosamente la strada, piuttosto che un percorso verso una meta conosciuta) è seguita da un motivo ai fiati, che costituisce l’inizio del secondo gruppo tematico: tre note discendenti alla dominante (Si bemolle maggiore) che passano da uno strumento all’altro, un puro gioco di timbri. Giunti a questo punto, in 50 battute, il nostro autore ha già buttato sul tavolo tutta una serie di novità inaudite. Inizia quindi una lunga transizione verso un tema accessorio. Ma è solo un intenerimento momentaneo, che si incupisce subito, prima di una nuova transizione e del ritorno ossessivo dello scontro di ritmi, martellato ancora più rabbiosamente, e che – a parte la ripresa di un frammento del primo tema - concluderà l’esposizione, la quale verrà poi ripetuta per intero. Non possiamo qui analizzare in dettaglio gli episodi che segnano il corso del lungo, prodigioso sviluppo, che usa il primo tema e il motivo discendente ai fiati, mischiandone e combinandone i frammenti con fantasia inesauribile. Segnaleremo solamente il punto culminante, che dopo un lunghissimo accumulo di tensione si conclude addirittura con una lacerante dissonanza ripetuta per ben cinque volte, prima della comparsa di un altro tema, in Mi minore (infrangendo la norma che impediva di inserire nuovi materiali nello sviluppo). Occorre poi menzionare la famosa “falsa ripresa” che precede di quattro battute la ripresa vera e propria, e sovrappone il bicordo di settima di dominante che conclude lo sviluppo, ancora tenuto dai violini, al precoce ritorno del tema alla tonica da parte dei corni, mentre il resto dell’orchestra tace, creando ante litteram una sorta di politonalità allo scoperto: ciò violava ancora più clamorosamente un’altra sacra regola, che resterà tale fino al ‘900. Nel corso della prima prova, giunti a questo punto, Ferdinand Ries, che assisteva Beethoven nella direzione, inveì contro il malcapitato cornista: «Maledetto, non sa contare?». Lo stesso Ries racconta che il maestro lo fulminò con un’occhiata tale, che egli temette di star per ricevere un ceffone (sulla prima esecuzione a palazzo Lobkowitz è reperibile su Youtube un bel film, «Beethoven’s Eroica», prodotto dalla BBC nel 2003). Occorrerebbe poi, se ve ne fosse lo spazio, parlare della gigantesca coda, lunga quanto l’esposizione: altra invenzione beethoveniana, che sembra dilatare verso l’infinito il vento di epopea che percorre tutto il primo tempo della sinfonia, ma serve anche a equilibrare uno sviluppo così esteso.
L’Adagio assai in Do minore (in 2/4) è altrettanto famoso del movimento precedente. Una pagina forse più semplice nella struttura, ma di una struggente eloquenza, nella quale il lutto per la morte dell’"eroe" diviene epicedio sul dolore del mondo. Oltre al precedente costituito dal terzo tempo della Sonata per pianoforte Op.26, è stata notata la somiglianza con marce funebri composte nella Francia rivoluzionaria. E’ meno noto che, dopo l’eliminazione della dedica a Napoleone, questo "Adagio " sostituì una "marcia trionfale", la quale diverrà l'ultimo movimento della Quinta Sinfonia. Il tema, aspro e doloroso, è esposto in pianissimo dai violini e ripreso dall’oboe. Un secondo tema in Mi bemolle maggiore è cantato dai violini in piano e forte alternato. Dopo la loro ripetizione e una desolata coda, si passa alla parte centrale, in Do maggiore, che è come un ricordo pieno di rimpianto, e si sviluppa poi in una solenne marcia scandita dai timpani. Torna brevemente il tema iniziale, ma invece di concludere il brano esso conduce ad un’inaspettata doppia fuga, ancora più dolente. La musica pare acquietarsi, ma subito nasce un’altra potente evocazione: al lugubre richiamo dei corni, sembra quasi che un’armata spettrale, i morti delle guerre napoleoniche (e, per noi posteri, anche di quelle future, ancora peggiori), si desti e si rimetta lentamente in marcia, con passo cadenzato e accusatore. E qui non ci sono eroi o grandi uomini che tengano, il guerriero Beethoven diviene per una volta visionario. Dopodiché, la ripresa del motivo iniziale, stavolta definitiva, si fa sempre più frantumata e, insieme al tema dell’ultimo episodio, si allontana e lentamente svanisce. I timpani hanno l’ultima parola, prima che cada il silenzio.
Dopo la lotta epica ed il confronto col dolore, gli ultimi due movimenti sono la vittoria della volontà sulle cieche forze del caso e del destino. Sebbene sia ben noto, non sarà superfluo ricordare ancora come Beethoven dichiarasse esplicitamente che la sua idea della musica si basava sulla morale e sulle concezioni umanitarie elaborate dalla filosofia kantiana.
Lo Scherzo (Allegro vivace, in 3/4) vive di un’inarrestabile forza propulsiva, e dello stesso contrasto ritmico tra metro ternario e binario che caratterizzava il primo movimento. Inizia con una corsa precipitosa degli archi, cui si unisce l’oboe nel disegnare un tema pieno di slancio. Ciò introduce un altro aspetto originale: se si rispetta la velocità prescritta dal compositore, le singole note «si trasformano in scintille sonore che guizzano e si consumano, o sembrano unirsi come fiamme» (A. Boucourechliev). Ad esso seguono un motivo di flauti e violini, la ricomparsa del primo tema, ed un Tutti conclusivo. Il Trio, dal carattere concertante, è dominato dalla fanfara di caccia dei corni, che diviene alla sua ultima ripresa quasi immateriale. Dopo il trio, lo scherzo è ripetuto letteralmente, ma con una sorpresa quando di colpo il metro cambia, per 4 battute, in un marcato Alla breve in 2/2: ciò che è musicalmente logico, ma non per questo meno straniante per l’ascoltatore. La breve coda viene scandita dai timpani, dagli archi e, infine, dall'intera orchestra.
Il Finale (Allegro molto in 2/4) è in genere considerato poco riuscito: eppure questo tema variato è il nucleo generatore dell’intera opera, come evidenziano sia i sottili agganci tematici, sia la simbologia dell’umano che vi è palesemente espressa. Esso era già stato utilizzato nel balletto «Le Creature di Prometeo» e nelle Variazioni per pianoforte Op.35, oltre che in una Contraddanza. Un’entrata impetuosa porta ad un motivo pizzicato al basso, ripreso dai soli archi nelle prime due variazioni. Nella terza, l’orchestra enuncia finalmente il tema vero e proprio, costituito da un dolce dialogo tra i fiati e gli archi. La quarta è una fuga in Sol minore, che culmina in una dissonanza, prima del ritorno della contraddanza nella quinta. Seguono la marziale marcia della sesta, e una nuova maestosa fuga con inversione del tema nella settima. Ma il cuore del movimento, annunciato dai soli fiati, è nell’ultima sognante variazione (Poco andante), che però giunge, alfine, ad un momento di angoscioso smarrimento metafisico. Dal quale, sembra dirci Beethoven, l’unica via d’uscita possibile è l’azione: e un frenetico Presto, nel quale ritorna il motivo introduttivo, conduce bruscamente e un po’ rudemente l’opera alla conclusione.
[A cura di Massimo Sacchi]



lunedì 11 aprile 2016

Recensione del concerto di sabato 9 aprile 2016.

Foto Sempionenews - Federico Mari
Legnano - Si è conclusa sabato la stagione regolare dell’orchestra Haydn, con un programma tutto beethoveniano, scelto appositamente dal maestro Balleello in occasione del battesimo musicale del teatro Tirinnanzi, del quale oltre alla qualità estetiche abbiamo potuto apprezzare la buona resa acustica in quasi tutti i settori, cosa niente affatto scontata, dato che la struttura originaria del cinema, che è stata fedelmente mantenuta, non era stata specificamente progettata per la musica.
Con un programma beethoveniano, dicevamo, e per giunta con il Beethoven più arduo da affrontare, sia per l’oggettiva difficoltà di esecuzione da parte degli strumentisti, sia per la complessità concettuale e interpretativa, sia infine per i confronti che impone con i più grandi direttori d’orchestra della storia: l’«Eroica», la più importante tra tutte le sinfonie (a nostro avviso, anche più della Nona Sinfonia), ed il «Coriolano», la più famosa e paradigmatica tra le numerose Ouverture composte dall’autore. Personalmente, abbiamo avuto la possibilità (anzi, la fortuna) di poter assistere a tutte le prove del concerto, e di constatare tutti i rovelli e i dubbi che questi capolavori, onusti di fama e di storia, inevitabilmente suscitano nel direttore che decida di eseguirli. Ma il risultato finale è stato, in entrambi i casi, pienamente all’altezza delle aspettative.
Foto Legnanonews - Luigi Frigo
Il primo brano eseguito è stata la breve Ouverture «Coriolano» Op.62. Un riassunto del Beethoven della maturità in appena 9 minuti. E non solo. Questo pezzo è interessante per tante ragioni, ma ci piace qui sottolineare il fatto che esso metta in evidenza un aspetto poco considerato di Beethoven, cioè quello dell’invenzione di una gestualità quale meccanismo di comunicazione indiretta, subliminale (come diremmo oggi), con il pubblico. Il direttore-eroe sembra scagliare il primo tema contro l’orchestra, materia inerte e ribelle da domare. Il maestro Balleello ha così iniziato la sua serata sotto il segno dell’energia, e ha saputo mantenere alta la tensione non solo per tutta l’Ouverture ma, con poche pause, fino alla fine del concerto. Tesissima è infatti stata anche l’interpretazione del gigantesco primo tempo della sinfonia, l’Allegro con brio, trascinata dall’inizio alla fine dei suoi 18 minuti di durata da un’implacabile energia, da un ferreo controllo, che sembrava calmarsi e prendere fiato per un istante solo nella Coda, poco prima della conclusione.
Un'aria diversa respirava l’Adagio assai del secondo movimento, la commovente e celeberrima Marcia funebre «composta per il sovvenire di un grande uomo». Questo capolavoro, come tutti i grandi capolavori musicali, può reggere concezioni interpretative anche assai diverse. La maggior parte dei direttori vi vedono, beethovenianamente, un corteo funebre tra il compianto della folla in onore di un qualche “cadavere eccellente” (Napoleone o chi per esso), ma per altri, in particolare per i direttori che hanno vissuto nel periodo delle due guerre mondiali (per esempio i Furtwängler, i Klemperer), questo nobile compianto diviene addirittura meditazione su una tragedia epocale, su una finis Germaniae, o su una finis Europae. Mentre ascoltavamo il concerto di ieri, invece, la composta interpretazione rievocava alla nostra memoria in modo quasi tangibile un ricordo del tutto diverso: quello del monumento funebre a Maria Cristina d’Austria, del Canova, con la sua candida processione di figure meste, ma senza lacrime, che si avviano ad oltrepassare una buia soglia. Avevamo già percepito in esecuzioni precedenti del nostro direttore questa concezione del dolore, più elegiaca e sommessa che tragica e scomposta. In ogni caso, ci è sembrata un’interpretazione personale e molto interessante.
Foto Sempionenews - Federico Mari
 L’energia, la pulsazione di un motore inarrestabile riprendeva poi il sopravvento nel terzo movimento Allegro vivace, lo Scherzo (un’altra innovazione con la quale Beethoven aveva sostituito le reminiscenze di danza del vecchio Minuetto settecentesco, facendo del terzo tempo il centro di quel campo di forze che avvolge tutte le sue sinfonie), e nel quarto movimento (Finale. Allegro molto), un complesso Tema con variazioni (8 o 10, a seconda dei musicologi) basato sui motivi del balletto «Le creature di Prometeo». Movimenti, come del resto anche il secondo, che sono assai difficili anche per l’orchestra, dato che i giochi timbrici beethoveniani impongono virtuosistici passi solistici anche a strumenti che solitamente, nella musica sinfonica, non suonano allo scoperto, quali l’oboe, il corno, il contrabbasso. E qui abbiamo potuto apprezzare, salvo qualche piccolissimo sbandamento, le qualità tecniche dei musicisti che fanno parte della nostra compagine.
Foto Sempionenews - Federico Mari
Calorosi gli applausi, quasi un’ovazione. Due i bis, che hanno ripetuto rispettivamente l’estesa coda del primo movimento, ed il frenetico Presto che chiude l’Allegro molto finale.
Vorremmo però questa volta concludere la nostra breve recensione con un pensiero a tutti i componenti dello staff dell’orchestra Haydn, il cui faticoso lavoro organizzativo nelle settimane che precedono i concerti rimane quasi del tutto oscuro al pubblico, ma senza i quali le esecuzioni non sarebbero possibili. Esprimiamo quindi la nostra riconoscente gratitudine a Giovanna, a Giorgio, ad Anna (con i quali ci scusiamo per averli citati senza aver chiesto il loro permesso), e a tutte le altre persone che prestano o hanno prestato il loro prezioso aiuto.
[A cura di Massimo Sacchi]

Galleria fotografica a cura di Sempionenews.it - Federico Mari

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mercoledì 6 aprile 2016

Stagione concertistica 2015-2016 - Terzo Concerto.

https://drive.google.com/open?id=0B-jxFGXadxfRQWU2Qzk2NnpwTHM
La stagione concertistica 2015-2016 dell'Orchestra da camera "Franz Joseph Haydn" si conclude sabato 9 aprile 2016 alle ore 21 presso il Teatro Città di Legnano "Talisio Tirinnanzi" con un concerto d'eccezione: 

Ludwig van Beethoven (1770 - 1827)
«Coriolano», Ouverture in Do min. Op.62
Sinfonia n°3 in Mi bemolle magg. Op.55 «Eroica»

  1. Allegro con brio
  2. Marcia funebre – Adagio assai
  3. Scherzo – Allegro vivace
  4. Finale – Allegro molto


Si conclude la stagione con un concerto dedicato interamente al Beethoven del cosiddetto “secondo periodo stilistico”, quello della piena maturità, che vede susseguirsi molti dei più celebri capolavori, orchestrali e non, del compositore. Il Beethoven più beethoveniano che ci sia, almeno per il grande pubblico: quello dei grandi contrasti, del volontarismo eroico, dell’afflato epico, della sfida al destino. E tra essi, proprio l’«Eroica» costituisce la sfida più ardua, non solo per il confronto che impone con i più grandi interpreti, ma anche per l’intrinseca complessità concettuale e musicale, ineguagliata persino da Beethoven, se non nella Nona Sinfonia e nella Missa Solemnis. Una pietra miliare del repertorio, quindi, che il direttore Balleello, giunto ormai quasi al compimento del ciclo completo delle nove sinfonie, ha deciso di affrontare proprio per il primo concerto nel nuovo teatro. E noi, insieme a tutto il pubblico, non possiamo che augurargli “Ad maiora, Maestro!”.
(a cura di Massimo Sacchi)

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