mercoledì 23 novembre 2016

Stagione concertistica 2016-2017 - Primo Concerto.

https://drive.google.com/file/d/0B-jxFGXadxfRMk1xa0thRVBhQ3c/view?usp=sharing
La Stagione concertistica 2016-2017 dell'Orchestra da camera della Città di Legnano Franz Joseph Haydn si inaugura sabato 26 novembre 2016 alle ore 21 presso il Teatro Città di Legnano “Talisio Tirinnanzi” in Piazza IV Novembre a Legnano, con un concerto dedicato a celebri pagine del repertorio tardo barocco. Una serata che unisce il virtuosismo strumentale di Vivaldi e Geminiani all’incantevole grazia delle arie operistiche di Händel, in un delicato ed affascinante connubio espressivo.

Programma:

Antonio Vivaldi
Concerto undecimo in Re minore con 2 violini e violoncello obbligati RV 565 

Allegro
Adagio e spiccato - Allegro
Largo e spiccato
Allegro

Georg Friedrich  Händel
Tutto puó donna vezzosa
Piangerò la sorte mia
Da tempeste il legno infranto
 

dall’opera “Giulio Cesare”

Antonio Vivaldi
Concerto primo in Re maggiore con 4 violini obbligati RV 549 

Allegro
Largo e spiccato
Allegro

Georg Friedrich Händel
Lascia ch'io pianga 

dall’opera “Rinaldo”

Francesco Geminiani
Concerto grosso XII in Re minore “La follia”


Ilaria Torciani, soprano
Daniele Balleello, direttore

Note estese al programma di sala (cliccare qui per la versione in PDF)

Come consuetudine, iniziamo la stagione presentando un programma di musica barocca. Proseguendo l’esplorazione intrapresa da alcuni anni, affiancheremo questa volta a due astri di prima grandezza come Vivaldi e Händel (la stella polare, per la storia del concerto strumentale, resta però Corelli), Francesco Geminiani, musicista meno noto ma comunque di rilevante importanza, anche perché fece parte di quella diaspora di compositori ed esecutori italiani che nella prima parte del ‘700 seppe fare apprezzare le novità musicali italiane in tutta Europa. Una semina che in breve tempo produrrà frutti copiosi.

Parlando di questo periodo, è facile dimenticare che l’intervallo tra la fine del ‘600 e l’inizio del ‘700 si colloca dentro una doppia svolta epocale della storia della musica, avvenuta nel giro di pochissimi decenni, e che riassumeremo brevemente.

La prima svolta fu la nascita dell’armonia moderna, con la sistemazione, dapprima pratica e poi anche teorica, del “temperamento equabile”, cioè la suddivisione dell’ottava in dodici parti uguali. Come noto, questa divisione non corrisponde ad alcun rapporto d’intonazione naturale, ma al contempo crea un compromesso che permette anche agli strumenti ad intonazione fissa di “viaggiare” avventurosamente verso qualsiasi tonalità, per quanto lontana da quella di partenza… ritrovando sempre la strada del ritorno!
La seconda rivoluzione fu l’invenzione del genere musicale del concerto. Come ha scritto il musicologo Alberto Basso, “tutta la storia della musica strumentale del Seicento si muove verso quel tipo di concentrazione espressiva che è il concerto. Allo stesso tempo è nello stile concertato che si determina la sensibilità tonale”. E la forma usuale assunta dallo stile concertante intorno al 1700 è quella del “Concerto grosso”. Quindi, per chiarezza, ci sembra importante inserire nuovamente una descrizione schematica di questa forma musicale, scusandoci se ripeteremo in parte quanto scritto in note degli anni precedenti. Caratteristica distintiva del Concerto grosso è la divisione dell’orchestra in due sezioni contrapposte: il concertino o soli, cioè il gruppo degli strumenti solisti, costituiti da un numero variabile di violini (in genere due), con o senza un violoncello, e il concerto grosso o ripieno, contenente violini, viole, violoncelli e il clavicembalo in funzione di basso continuo. L’andamento musicale prevede un’alternanza dialogante tra il concertino e i ritornelli del concerto grosso (il cosiddetto “stile concertato”). Tutto il resto è variabile a seconda del periodo e dello stile. Ad esempio, ai primordi di questa forma musicale il concertino tace quando suona il concerto grosso, mentre in seguito invalse la partecipazione del concertino anche al concerto grosso (Tutti). Ancora più variabile è lo sviluppo del discorso musicale, cioè il modo con il quale concertino e concerto grosso elaborano e si scambiano il materiale tematico. La successione in tre tempi (veloce-lento-veloce), proposta dai veneti Albinoni e Torelli, seguita da Vivaldi dopo alcune incertezze, e accettata prontamente in Germania, diverrà quella canonica, ma Corelli e anche Händel usavano un numero di tempi variabile a seconda dell’importanza del concerto, mentre i francesi preferiranno per un certo tempo la successione lento-veloce-lento. Ne risulta insomma, per chi approfondisca appena un poco la conoscenza della musica di quest’epoca, una varietà stilistica ed espressiva in nulla inferiore a quella romantica.

Il programma

Antonio Vivaldi - Concerto Undecimo in Re minore con 2 violini e violoncello obbligati RV 565, da «L’estro armonico» op. III

«[Quando ebbi conosciuto l’Estro armonico] mi preoccupai di raccogliere un bel numero di concerti di Vivaldi. I loro magnifici ritornelli sono stati per me, negli anni che seguirono, degli ottimi modelli»
J.J. Quantz, compositore e flautista tedesco del primo ‘700

L’Estro armonico costituisce la chiave di volta per penetrare in tutti i più segreti problemi della storia e dell’estetica del Concerto italiano. […] Rivoluzione che precede, anticipa le cause della rivolta. Qui sta il genio di Vivaldi. Ancora il Concerto grosso non aveva dichiarato la sua legittimità d’origine e d’esistenza che, con Vivaldi, tiene a rinnegarla.
                                                                                                                Remo Giazotto, «Vivaldi»

Nei nostri programmi abbiamo spesso incontrato capolavori che al primo apparire ebbero ben poca risonanza. Invece, la pubblicazione dei concerti dell’ “Estro armonico” nel 1711 fu proprio uno shock. Il mondo musicale, che stava ancora faticosamente assimilando le novità corelliane, rimase elettrizzato dal genio del giovane prete veneziano, e in pochi anni innumerevoli copie vennero vendute a esecutori, compositori, e amanti della musica di varia estrazione sociale. Lo stesso Bach trascrisse immediatamente, per strumenti a tastiera, sei concerti dell’opera III vivaldiana, e tra essi il Concerto undecimo, che divenne il Concerto per organo in re minore BWV596. Ma i fili che si diramarono dall’ “Estro armonico” furono assai più complessi e durevoli: gli studiosi che se ne sono occupati hanno rintracciato stilemi vivaldiani anche in musicisti operanti ben oltre la metà del secolo. E perché questa raccolta venne considerata rivoluzionaria? Si tratta di una raccolta di 12 concerti con 1, 2 e 4 violini, raggruppati ordinatamente in quattro gruppi di tre (con un esprit de geometrie tipicamente seicentesco, per quanto insolito in Vivaldi). Già questa è una prima novità: il concerto grosso con due violini in concertino, organico che derivava dalla Sonata a tre e dalla Sonata da chiesa barocche, era ormai quasi prassi, ma non lo era certo quello con violino solista (noi posteri intendiamo subito, con questa parola, quali vie nuove si apriranno), e tanto meno quello con 4 violini, esperimento che peraltro non fu più ritentato nemmeno da Vivaldi. In secondo luogo, chi voglia intraprendere un ascolto d’insieme di tutto l’ “Estro armonico”, si accorgerà di quale sorprendente varietà vi sia presente: non vi sono praticamente due concerti che si assomiglino [Alla faccia delle battute stravinskiane su Vivaldi e sul barocco italiano, ma costui era uno spirito corrosivo, il quale aveva da ridire persino sulle sinfonie di Beethoven … a parte l’Ottava!]. Infine, innovazioni altrettanto succose erano nella musica. Kolneder, autore della più chiara sintesi su questo argomento, ha così riassunto lo stile vivaldiano: nei tempi veloci, inaudito dispiegamento virtuosistico; grandiosità della struttura formale, sia per il concertino sia – di riflesso – per il ripieno; chiarezza dell'impianto armonico, ormai basato sulle funzioni fondamentali di tonica, sottodominante, dominante; forza e varietà dell’accentuazione ritmica; ampia gamma dinamica e agogica; ripetizione non meccanica dei ritornelli; possibilità di differenti rapporti tematici tra concertino e ripieno. Nei tempi lenti: interventi molto limitati dell’orchestra, mentre i solisti dispiegano ampi archi melodici, spesso di tipo vocalistico.
Il Concerto undecimo, nel contesto dell’Opera III, fa parte del gruppo dei più “conservatori”, mostrando chiaramente la derivazione dalla Sonata da chiesa (suddivisione in 4 tempi, concertino costituito da due violini e violoncello, presenza di un movimento in stile fugato).
Il brano inizia con un Allegro introduttivo eseguito dal concertino, senza interventi del concerto grosso. È diviso in due parti: un canone tra i due violini nella prima, il virtuosistico fraseggiare del violoncello solista nella seconda. Preceduta da un breve Adagio e spiccato, segue poi una fuga a 4 voci ascendenti (Allegro), con due episodi concertanti intermedi eseguiti dai Soli.
Ma il cuore del concerto è indubbiamente nel successivo Largo e spiccato, un lungo e dolente assolo del Violino primo ripetuto due volte, la seconda con l’aggiunta di fioriture e variazioni. [Le categorie del patetico e dell’elegiaco vivaldiano, che non divengono mai tragico, si prestano a molte considerazioni, che richiederebbero altra sede per essere affrontate. Ci preme, però, di mettere quantomeno in evidenza come esse denotino la totale aderenza del musicista alla temperie culturale della Venezia settecentesca, erede di una splendida civiltà al tramonto, ma che – all’opposto del senso di morte che ossessiona il barocco romano e quello tedesco - esorcizzava la visione della propria fine in una sfrenata smania di vita, in una sorta di eterno presente. E si potrebbero anche trarne interessanti paralleli con la contemporaneità.]
Nel turbinoso Allegro conclusivo si ha la continua alternanza, per quattro volte, tra Soli e Tutti, seguita in chiusura da una ripresa variata della parte iniziale. Ricollegandosi a quanto si era in precedenza accennato, tra le innovazioni vivaldiane vi è anche l’aumento del numero degli episodi solistici nei tempi veloci, che passano da due-tre a quattro-cinque e anche più (come, ad esempio, nel Concerto Ottavo) con conseguente aumento della durata relativa dei brani.

Georg Friedrich Händel – Tutto può donna vezzosa - Piangerò la sorte mia - Da tempeste il legno infranto (da «Giulio Cesare»)
L’opera «Giulio Cesare in Egitto» fu rappresentata per la prima volta a Londra nel 1724, con immediato successo, ed è ancora oggi considerata una tra le migliori del compositore.
Tutte e tre le arie che presentiamo sono nella tipica forma col Da Capo (struttura A-B-A, con ripetizione letterale della prima parte). Inoltre, in modo tipicamente händeliano, la parte centrale B inizia sempre al relativo minore della tonalità d’impianto della prima parte A.
La prima aria, «Tutto può donna vezzosa», cantata da Cleopatra, appartiene all’Atto primo. In essa la vamp egizia si compiace con sé stessa dopo aver sedotto Cesare per poter prevalere sul suo rivale Tolomeo. L’astuzia della donna è sottolineata da un accompagnamento orchestrale volutamente quasi schematico, e dalla presenza di un oboe concertante all’unisono con il canto, tutto basato su civettuoli gorgheggi e salti nel registro acuto.

Ecco il testo:
Tutto può
donna vezzosa,
s'amorosa
scioglie il labbro, o gira il guardo;
ogni colpo piaga un petto,
se difetto
non v'ha quel che scocca il dardo.

Le due arie successive: «Piangerò la sorte mia» e «Da tempeste il legno infranto», appartengono invece all’Atto terzo, e sono ancora cantate da Cleopatra. Entrambe sono nella tonalità di Mi maggiore, che Händel usava spesso nelle sue arie emotivamente più intense.
Della prima, è da notarsi la finezza del trattamento musicale rispetto al testo, il modo con il quale vengono delicatamente sottolineate tutte le sfumature psicologiche della dolente regina - che sembra quasi un altro personaggio rispetto a quello disegnato nel Primo atto. Nella seconda parte, però, con un improvviso scarto emotivo, emerge anche un violento desiderio di vendetta.

Piangerò la sorte mia
sì crudele e tanto ria
finché vita in petto avrò.
Ma poi morta d'ogn'intorno
il tiranno e notte e giorno
fatta spettro agiterò.

La seconda, un canto di trionfo, è nuovamente un brano pieno di fioriture e virtuosismi vocali, con trilli e salti d’ottava. L’incipit di entrambe le semistrofe è enunciato all’unisono dalla voce e dai violini.

Da tempeste il legno infranto,
se poi salvo giunge in porto
non sa più che desiar.
Così il cor tra pene, e pianto,
or che trova il suo conforto
torna l'anima a bear.

Antonio Vivaldi - Concerto Primo in Re maggiore con 4 violini obbligati RV 549, da «L’estro armonico» op. III
Il Concerto primo, rispetto al Concerto undecimo, presenta aspetti assai più innovativi, e forse anche per questa ragione è stato posto in apertura di raccolta: innanzitutto il concertino che include ben 4 violini; in secondo luogo, la struttura in soli tre tempi, che di lì a breve diverrà canonica, ma che in quel periodo, come detto, era stata usata solo da Torelli e Albinoni. Il termine obbligato, abbastanza frequente nella musica barocca, significa che, quando gli strumenti solisti eseguono delle parti di accompagnamento, devono suonare la partitura come è scritta, senza aggiungere nulla.
Nell’Allegro iniziale, il dialogo tra concertino e ripieno è talmente serrato da rendere ormai difficile discernervi con chiarezza la struttura di concerto grosso. I ruoli principali sono quelli del Primo e Secondo violino, che si alternano come solisti, ma tutte le parti principali partecipano ad un continuo e sempre variato dialogo. Inconsueto è il ruolo del violoncello, che non si limita ad accompagnare insieme al resto dell’orchestra, ma diviene esso stesso strumento predominante in estesi tratti del Tutti.
Il secondo tempo (Largo e spiccato) inizia al grave, con un andamento di “ciaccona” in 3/4, scandito all’unisono. A questo ritornello si alternano due episodi solistici per il Primo e Secondo violino.
Nell’Allegro finale, condotto in un insolito metro di 9/8 (per il concertino) contro 3/4 (per il concerto grosso), che inizia con un invito del Terzo violino, seguito dal primo ingresso del Tutti, le alternanze tra solisti e orchestra avvengono sopra un saltellante ritmo di danza campestre, a metà strada tra una giga e una tarantella.

Georg Friedrich Händel - Lascia ch'io pianga (da «Rinaldo»)
Il «Rinaldo», rappresentato nel 1711, ma riscritto parzialmente nel 1731, è liberamente ispirato alla «Gerusalemme liberata» del Tasso. La splendida aria dell’Atto secondo Lascia ch’io pianga, cantata dall’eroina Almirena tenuta prigioniera nel giardino della maga Armida, è un tempo di sarabanda (danza lenta francese). Piacque così tanto che Händel [spesso scritto Handel, dato che il musicista anglicizzò il suo cognome in onore della patria adottiva] ne incluse la musica in altre opere. Cinematograficamente, la fama di questo brano è stata rinnovata dal film «Farinelli, voce regina» del 1994. Molto recentemente, è stata anche inclusa in «Dio esiste e vive a Bruxelles» (come qualcuno ricorderà, nella scena della mano che danza sul tavolo).

Lascia ch'io pianga
Mia cruda sorte,
E che sospiri
La libertà.
Il duolo infranga
Queste ritorte,
De' miei martiri
Sol per pietà.

Francesco Geminiani - Concerto grosso XII in Re minore “La follia” (dalla Sonata op. 5 n. 12 per violino di A. Corelli)
Il lucchese Geminiani, allievo di Alessandro Scarlatti e di Corelli a Roma, fu uno dei più celebri e apprezzati violinisti del suo tempo, ma condusse una vita errabonda e piena di guai, a causa del suo temperamento irrequieto che gli faceva perdere in breve tempo ogni incarico che gli venisse affidato. Morì di crepacuore nella lontana Dublino, dopo che una serva infedele ebbe rubato la preziosa raccolta dei suoi manoscritti.
Questo concerto, pubblicato nel 1727, è la trasposizione orchestrale fatta dal nostro autore a partire da un tema con 23 variazioni sul tema della “follia”, per violino solo e basso continuo, composto da Corelli verso il 1700. La “follia” era in origine (“follia primitiva”) una forma di progressione accordale in metro ternario di origine portoghese, attestata sin dal tardo Medioevo. L’etimologia deriva probabilmente da quelle antiche danze contadine che, semel in anno, rovesciavano i ruoli e le convenzioni sociali. Il tema che ascolteremo, nel tempo di 3/4 e in tonalità di re minore, divenne quello canonico a partire dal 1500 circa, ed è oggi definito “tarda follia”. Corelli fu colui che per primo rese popolare la “follia”, ma questo incedere pieno di fatalismo, solenne e muliebre, irresistibilmente iberico («gravi matrone di Spagna da gli occhi torbidi e angelici», scriveva il poeta Dino Campana), sopra un basso di passacaglia o di sarabanda, colpì - prima e dopo di lui - l’immaginazione di molti altri compositori, antichi e recenti: per citare solo le nostre limitate conoscenze, tra essi vi sono Lulli, Alessandro Scarlatti, Vivaldi, Marais, Händel, J.S. Bach, C.P.E. Bach, Liszt, Rachmaninoff, Casella, Ponce, e … Vangelis.
Nella trascrizione fatta da Geminiani, la virtuosistica parte del violino solista corelliano passa sostanzialmente immutata al Violino primo del concertino. Ad essa viene affiancata ex novo la parte del Violino secondo del concertino, mentre tutto il lavoro è modellato sul contrasto tra variazioni lente e veloci, oltre che naturalmente sui contrasti tra “Tutti” e “Soli”, che talora si si alternano entro la stessa variazione (per esempio, nelle variazioni 3, 9, 17, 20 e 21), ma più spesso si rincorrono da una variazione all’altra.
[Per render con più immediatezza apprezzabile l’opera, ci permettiamo di suggerire all’ascoltatore di adottare una concezione a blocchi, differente dall’individualità delle singole variazioni romantiche. Ricordiamo inoltre che nella musica barocca la partitura viene sempre considerata come un semplice canovaccio, sopra il quale spetterà alla personalità dell’esecutore introdurre abbellimenti a suo gusto, e al contempo rendere più virtuosistica l’esecuzione. Al punto che, quando l’autore non vuole interpolazioni, lo prescrive esplicitamente (l’obbligato al quale si è fatto accenno in precedenza). La “sacralità”, l’oggettività intangibile del testo scritto, è un concetto che superficialmente si potrebbe dare per scontato, e sul quale non ci si sofferma quasi mai a riflettere, ma in questo modo è facile dimenticare che in realtà esso si affermò molto tardi, non prima del ‘900 inoltrato].
Il Tema (Adagio), enunciato dal Tutti, è in due parti divise nelle canoniche 8 + 8 battute con prima cadenza sulla dominante e cadenza finale sulla tonica. Lo schema armonico, palindromo, fa perno alla quarta e quinta battuta su una dominante secondaria basata sul rapporto tra III e VII grado di tonica.
Seguono poi le variazioni, che schematizzeremo nel modo seguente:
-Variazione 1 (Adagio) Tema spezzato, poi fioriture violinistiche.
-Variazione 2 (Allegro) Arpeggi sull’armonia del motivo.
-Variazione 3 (Allegro) Nel concertino, imitazioni affidate al violoncello.
Variazioni 4 e 5 (Allegro) Arpeggi spezzati, nella seconda variazione spostamento dell’accento ritmico.
Variazioni 6 e 7 (Allegro) Uno stesso virtuosistico motivo in semicrome è eseguito dal Primo violino, poi dal violoncello.
-Variazione 8 (Adagio) Prima cesura tra i blocchi di variazioni.
-Variazioni 9 e 10 (Allegro-Vivace, Allegro in 3/8) Basate su effetti violinistici quasi di tremolo nella prima, di picchiettato nella seconda.
-Variazione 11 (Andante in 4/4) In stile patetico e vocalistico.
-Variazione 12 (Allegro in 4/4) Di nuovo arpeggi, ma con cambio di metro.
-Variazioni 13, 14 e 15 (Adagio in 12/8, poi Adagio in 3/4) Ripetizione di una figura in rapide semicrome discendenti nella prima, fioriture ed abbellimenti ad libitum nelle altre due.
-Variazione 16 (Allegro) Sovrapposizione complessa di ritmi.
-Variazione 17 (Allegro) Basata su uno staccato discendente.
-Variazione 18 (Allegro) Nel concertino, imitazioni affidate al Secondo violino.
-Variazione 19 (Adagio) Nuova cesura con una variazione in tempo molto lento, che prepara il blocco finale.
-Variazioni 20 e 21 (Allegro) Progressivo aumento della velocità, su un ritmo in terzine dal carattere più danzante.
-Variazioni 22 e 23 (Allegro) Riproposizioni finali del tema da parte del Tutti sopra il tremolo del Primo violino, poi del violoncello, prima dell’inciso cadenzale conclusivo ripetuto tre volte.
 
[A cura di Massimo Sacchi]

Orchestra da camera della città di Legnano Franz Joseph Haydn
sito web: www.orchestralegnano.org
e-mail: orchestralegnano@alice.it


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