Programma:
Antonio Vivaldi
Concerto undecimo in Re minore con 2 violini e violoncello obbligati RV 565
Allegro
Adagio e spiccato - Allegro
Largo e spiccato
Allegro
Georg Friedrich Händel
Tutto puó donna vezzosa
Piangerò la sorte mia
Da tempeste il legno infranto
dall’opera “Giulio Cesare”
Antonio Vivaldi
Concerto primo in Re maggiore con 4 violini obbligati RV 549
Allegro
Largo e spiccato
Allegro
Georg Friedrich Händel
Lascia ch'io pianga
dall’opera “Rinaldo”
Francesco Geminiani
Concerto grosso XII in Re minore “La follia”
Ilaria Torciani, soprano
Daniele Balleello, direttore
Note estese al programma di sala (cliccare qui per la versione in PDF)
Come
consuetudine, iniziamo la stagione presentando un programma di musica barocca.
Proseguendo l’esplorazione intrapresa da alcuni anni, affiancheremo questa
volta a due astri di prima grandezza come Vivaldi e Händel (la stella polare,
per la storia del concerto strumentale, resta però Corelli), Francesco
Geminiani, musicista meno noto ma comunque di rilevante importanza, anche
perché fece parte di quella diaspora di compositori ed esecutori italiani che
nella prima parte del ‘700 seppe fare apprezzare le novità musicali italiane in
tutta Europa. Una semina che in breve tempo produrrà frutti copiosi.
Parlando
di questo periodo, è facile dimenticare che l’intervallo tra la fine del ‘600 e
l’inizio del ‘700 si colloca dentro una doppia svolta epocale della storia
della musica, avvenuta nel giro di pochissimi decenni, e che riassumeremo
brevemente.
La
prima svolta fu la nascita dell’armonia moderna, con la sistemazione, dapprima
pratica e poi anche teorica, del “temperamento equabile”, cioè la suddivisione
dell’ottava in dodici parti uguali. Come noto, questa divisione non corrisponde
ad alcun rapporto d’intonazione naturale, ma al contempo crea un compromesso
che permette anche agli strumenti ad intonazione fissa di “viaggiare”
avventurosamente verso qualsiasi tonalità, per quanto lontana da quella di
partenza… ritrovando sempre la strada del ritorno!
La
seconda rivoluzione fu l’invenzione del genere musicale del concerto. Come ha
scritto il musicologo Alberto Basso, “tutta la storia
della musica strumentale del Seicento si muove verso quel tipo di
concentrazione espressiva che è il concerto. Allo stesso tempo è nello stile
concertato che si determina la sensibilità tonale”. E la forma usuale assunta
dallo stile concertante intorno al 1700 è quella del “Concerto grosso”. Quindi,
per chiarezza, ci sembra importante inserire nuovamente una descrizione
schematica di questa forma musicale, scusandoci se ripeteremo in parte quanto
scritto in note degli anni precedenti. Caratteristica distintiva del Concerto
grosso è la divisione dell’orchestra in due sezioni contrapposte: il concertino
o soli, cioè il gruppo
degli strumenti solisti, costituiti da un numero variabile di violini (in
genere due), con o senza un violoncello, e il concerto grosso o ripieno,
contenente violini, viole, violoncelli e il clavicembalo in funzione di basso
continuo. L’andamento musicale prevede un’alternanza dialogante tra il concertino
e i ritornelli del concerto grosso
(il cosiddetto “stile concertato”). Tutto il resto è variabile a seconda del
periodo e dello stile. Ad esempio, ai primordi di questa forma musicale il
concertino tace quando suona il concerto grosso, mentre in seguito invalse la
partecipazione del concertino anche al concerto grosso (Tutti). Ancora
più variabile è lo sviluppo del discorso musicale, cioè il modo con il quale
concertino e concerto grosso elaborano e si scambiano il materiale tematico. La
successione in tre tempi (veloce-lento-veloce), proposta dai veneti Albinoni e
Torelli, seguita da Vivaldi dopo alcune incertezze, e accettata prontamente in
Germania, diverrà quella canonica, ma Corelli e anche Händel usavano un numero
di tempi variabile a seconda dell’importanza del concerto, mentre i francesi
preferiranno per un certo tempo la successione lento-veloce-lento. Ne risulta
insomma, per chi approfondisca appena un poco la conoscenza della musica di
quest’epoca, una varietà stilistica ed espressiva in nulla inferiore a quella
romantica.
Il programma
Antonio Vivaldi - Concerto Undecimo in Re minore con 2 violini e violoncello
obbligati RV 565, da «L’estro armonico» op. III
«[Quando ebbi conosciuto l’Estro
armonico] mi preoccupai di raccogliere un bel numero di concerti di Vivaldi. I
loro magnifici ritornelli sono stati per me, negli anni che seguirono, degli
ottimi modelli»
J.J.
Quantz, compositore e flautista tedesco del primo ‘700
L’Estro armonico costituisce la chiave di
volta per penetrare in tutti i più segreti problemi della storia e
dell’estetica del Concerto italiano. […] Rivoluzione che precede, anticipa le
cause della rivolta. Qui sta il genio di Vivaldi. Ancora il Concerto grosso non
aveva dichiarato la sua legittimità d’origine e d’esistenza che, con Vivaldi,
tiene a rinnegarla.
Remo
Giazotto, «Vivaldi»
Nei
nostri programmi abbiamo spesso incontrato capolavori che al primo apparire
ebbero ben poca risonanza. Invece, la pubblicazione dei concerti dell’
“Estro armonico” nel 1711 fu
proprio uno shock. Il mondo musicale, che stava ancora faticosamente
assimilando le novità corelliane, rimase elettrizzato dal genio del giovane
prete veneziano, e in pochi anni innumerevoli copie vennero vendute a
esecutori, compositori, e amanti della musica di varia estrazione sociale. Lo
stesso Bach trascrisse immediatamente, per strumenti a tastiera, sei concerti
dell’opera III vivaldiana, e tra essi il Concerto
undecimo, che divenne il Concerto per organo in re minore BWV596. Ma i fili
che si diramarono dall’ “Estro
armonico” furono assai più complessi e durevoli: gli studiosi che se ne sono
occupati hanno rintracciato stilemi vivaldiani anche in musicisti operanti ben
oltre la metà del secolo. E perché questa raccolta venne considerata
rivoluzionaria? Si tratta di una raccolta di 12 concerti con 1, 2 e 4 violini,
raggruppati ordinatamente in quattro gruppi di tre (con un esprit de geometrie tipicamente seicentesco, per quanto insolito in
Vivaldi). Già questa è una prima novità: il concerto grosso con due violini in
concertino, organico che derivava dalla Sonata a tre e dalla Sonata da chiesa
barocche, era ormai quasi prassi, ma non lo era certo quello con violino
solista (noi posteri intendiamo subito, con questa parola, quali vie nuove si
apriranno), e tanto meno quello con 4 violini, esperimento che peraltro non fu
più ritentato nemmeno da Vivaldi. In secondo luogo, chi voglia intraprendere un
ascolto d’insieme di tutto l’ “Estro
armonico”, si accorgerà di quale sorprendente varietà vi sia presente: non vi
sono praticamente due concerti che si assomiglino [Alla faccia delle battute
stravinskiane su Vivaldi e sul barocco italiano, ma costui era uno spirito
corrosivo, il quale aveva da ridire persino sulle sinfonie di Beethoven … a
parte l’Ottava!]. Infine, innovazioni
altrettanto succose erano nella musica. Kolneder, autore della più chiara
sintesi su questo argomento, ha così riassunto lo stile vivaldiano: nei tempi veloci, inaudito
dispiegamento virtuosistico; grandiosità della struttura formale, sia per il
concertino sia – di riflesso – per il ripieno; chiarezza dell'impianto armonico,
ormai basato sulle funzioni fondamentali di tonica, sottodominante, dominante; forza
e varietà dell’accentuazione ritmica; ampia gamma dinamica e agogica;
ripetizione non meccanica dei ritornelli; possibilità di differenti rapporti
tematici tra concertino e ripieno. Nei tempi lenti: interventi molto limitati
dell’orchestra, mentre i solisti dispiegano ampi archi melodici, spesso di tipo
vocalistico.
Il Concerto
undecimo, nel contesto dell’Opera III, fa parte del gruppo dei più
“conservatori”, mostrando chiaramente la derivazione dalla Sonata da chiesa
(suddivisione in 4 tempi, concertino costituito da due violini e violoncello,
presenza di un movimento in stile fugato).
Il brano inizia con un Allegro introduttivo eseguito dal concertino, senza interventi del concerto grosso. È diviso in due parti: un canone tra i due violini
nella prima, il virtuosistico fraseggiare del violoncello solista nella seconda. Preceduta da un breve Adagio e spiccato, segue poi una fuga a
4 voci ascendenti (Allegro), con due
episodi concertanti intermedi eseguiti dai Soli.
Ma il cuore del concerto è indubbiamente nel
successivo Largo e spiccato, un lungo
e dolente assolo del Violino primo ripetuto due volte, la seconda con l’aggiunta
di fioriture e variazioni. [Le categorie del patetico e dell’elegiaco
vivaldiano, che non divengono mai tragico, si prestano a molte considerazioni,
che richiederebbero altra sede per essere affrontate. Ci preme, però, di
mettere quantomeno in evidenza come esse denotino la totale aderenza del
musicista alla temperie culturale della Venezia settecentesca, erede di una
splendida civiltà al tramonto, ma che – all’opposto del senso di morte che
ossessiona il barocco romano e quello tedesco - esorcizzava la visione della
propria fine in una sfrenata smania di vita, in una sorta di eterno presente. E
si potrebbero anche trarne interessanti paralleli con la contemporaneità.]
Nel turbinoso Allegro conclusivo si ha la continua alternanza, per quattro volte,
tra Soli e Tutti, seguita in chiusura da una ripresa variata della parte
iniziale. Ricollegandosi a quanto si era in precedenza accennato, tra le
innovazioni vivaldiane vi è anche l’aumento del numero degli episodi solistici
nei tempi veloci, che passano da due-tre a quattro-cinque e anche più (come, ad
esempio, nel Concerto Ottavo) con
conseguente aumento della durata relativa dei brani.
Georg Friedrich Händel – Tutto può donna vezzosa - Piangerò la sorte mia
- Da tempeste il legno infranto (da
«Giulio Cesare»)
L’opera «Giulio Cesare
in Egitto» fu rappresentata per la prima volta a Londra nel 1724, con immediato
successo, ed è ancora oggi considerata una tra le migliori del compositore.
Tutte e tre le arie che
presentiamo sono nella tipica forma col Da Capo (struttura A-B-A, con
ripetizione letterale della prima parte). Inoltre, in modo tipicamente händeliano,
la parte centrale B inizia sempre al relativo minore della tonalità d’impianto
della prima parte A.
La prima aria, «Tutto può donna vezzosa», cantata da
Cleopatra, appartiene all’Atto primo. In essa la vamp egizia si compiace con sé stessa dopo aver sedotto Cesare per poter
prevalere sul suo rivale Tolomeo. L’astuzia della donna è sottolineata da un accompagnamento orchestrale volutamente quasi
schematico, e dalla presenza di un oboe concertante all’unisono con il canto,
tutto basato su civettuoli gorgheggi e salti nel registro acuto.
Ecco il testo:
Tutto può
donna vezzosa,
s'amorosa
scioglie il
labbro, o gira il guardo;
ogni colpo piaga un
petto,
se difetto
non v'ha quel che
scocca il dardo.
Le due arie successive: «Piangerò la sorte mia» e
«Da tempeste il legno infranto», appartengono invece all’Atto terzo, e sono
ancora cantate da Cleopatra. Entrambe
sono nella tonalità di Mi maggiore, che Händel usava spesso nelle sue arie
emotivamente più intense.
Della prima, è da
notarsi la finezza del trattamento musicale rispetto al testo, il modo con il quale vengono delicatamente sottolineate tutte le sfumature
psicologiche della dolente regina - che sembra quasi un altro personaggio
rispetto a quello disegnato nel Primo atto. Nella seconda parte, però, con un
improvviso scarto emotivo, emerge anche un violento desiderio di vendetta.
Piangerò la sorte mia
sì crudele e
tanto ria
finché vita in
petto avrò.
Ma poi morta d'ogn'intorno
il tiranno e
notte e giorno
fatta spettro
agiterò.
La seconda, un canto di
trionfo, è nuovamente un brano pieno di fioriture e virtuosismi vocali, con
trilli e salti d’ottava. L’incipit di
entrambe le semistrofe è enunciato all’unisono dalla voce e dai violini.
Da tempeste il legno infranto,
se poi salvo giunge in porto
non sa più che desiar.
Così il cor tra pene, e pianto,
or che trova il suo conforto
torna l'anima a bear.
Antonio Vivaldi - Concerto Primo in Re maggiore con 4 violini obbligati RV 549, da
«L’estro armonico» op. III
Il Concerto
primo, rispetto al Concerto undecimo, presenta aspetti assai più
innovativi, e forse anche per questa ragione è stato posto in apertura di
raccolta: innanzitutto il concertino
che include ben 4 violini; in secondo luogo, la struttura in soli tre tempi,
che di lì a breve diverrà canonica, ma che in quel periodo, come detto, era stata
usata solo da Torelli e Albinoni. Il termine obbligato, abbastanza frequente nella musica barocca, significa
che, quando gli strumenti solisti eseguono delle parti di accompagnamento,
devono suonare la partitura come è scritta, senza aggiungere nulla.
Nell’Allegro
iniziale, il dialogo tra concertino e
ripieno è talmente serrato da rendere
ormai difficile discernervi con chiarezza la struttura di concerto grosso. I
ruoli principali sono quelli del Primo e Secondo violino, che si alternano come
solisti, ma tutte le parti principali partecipano ad un continuo e sempre
variato dialogo. Inconsueto è il ruolo del violoncello, che non si limita ad
accompagnare insieme al resto dell’orchestra, ma diviene esso stesso strumento
predominante in estesi tratti del Tutti.
Il secondo tempo (Largo
e spiccato) inizia al grave, con un andamento di “ciaccona” in 3/4,
scandito all’unisono. A questo ritornello si alternano due episodi solistici
per il Primo e Secondo violino.
Nell’Allegro finale,
condotto in un insolito metro di 9/8 (per il concertino) contro 3/4 (per il concerto
grosso), che inizia con un invito
del Terzo violino, seguito dal primo ingresso del Tutti, le alternanze tra solisti e orchestra avvengono sopra un
saltellante ritmo di danza campestre, a metà strada tra una giga e una
tarantella.
Georg Friedrich Händel - Lascia ch'io pianga (da
«Rinaldo»)
Il «Rinaldo»,
rappresentato nel 1711, ma riscritto parzialmente nel 1731, è liberamente
ispirato alla «Gerusalemme liberata» del Tasso. La splendida aria dell’Atto
secondo Lascia ch’io pianga, cantata
dall’eroina Almirena tenuta prigioniera nel giardino della maga Armida, è un tempo
di sarabanda (danza lenta francese). Piacque così tanto che Händel [spesso
scritto Handel, dato che il musicista anglicizzò il suo cognome in onore della
patria adottiva] ne incluse la musica in altre opere. Cinematograficamente, la
fama di questo brano è stata rinnovata dal film «Farinelli, voce regina» del
1994. Molto recentemente, è stata anche inclusa in «Dio esiste e vive a
Bruxelles» (come qualcuno ricorderà, nella scena della mano
che danza sul tavolo).
Lascia ch'io pianga
Mia cruda sorte,
E che sospiri
La libertà.
Il duolo infranga
Queste ritorte,
De' miei martiri
Sol per pietà.
Francesco Geminiani - Concerto grosso XII in Re minore
“La follia” (dalla Sonata op. 5 n. 12 per violino di A. Corelli)
Il lucchese Geminiani, allievo di Alessandro Scarlatti e di
Corelli a Roma, fu uno dei più celebri e apprezzati violinisti del suo tempo,
ma condusse una vita errabonda e piena di guai, a causa del suo temperamento
irrequieto che gli faceva perdere in breve tempo ogni incarico che gli venisse
affidato. Morì di crepacuore nella lontana Dublino, dopo che una serva infedele
ebbe rubato la preziosa raccolta dei suoi manoscritti.
Questo concerto, pubblicato nel 1727, è la trasposizione
orchestrale fatta dal nostro autore a partire da un tema con 23 variazioni sul
tema della “follia”, per violino solo e basso continuo, composto da Corelli
verso il 1700. La “follia” era in origine (“follia primitiva”) una forma di
progressione accordale in metro ternario di origine portoghese, attestata sin
dal tardo Medioevo. L’etimologia deriva probabilmente da quelle antiche danze
contadine che, semel in anno,
rovesciavano i ruoli e le convenzioni sociali. Il tema che ascolteremo, nel
tempo di 3/4 e in tonalità di re minore, divenne quello canonico a partire dal
1500 circa, ed è oggi definito “tarda follia”. Corelli fu colui che per primo rese
popolare la “follia”, ma questo incedere pieno di fatalismo, solenne e muliebre,
irresistibilmente iberico («gravi matrone di Spagna da gli occhi torbidi e
angelici», scriveva il poeta Dino Campana), sopra un basso di passacaglia o di
sarabanda, colpì - prima e dopo di lui - l’immaginazione di molti altri
compositori, antichi e recenti: per citare solo le nostre limitate conoscenze,
tra essi vi sono Lulli, Alessandro Scarlatti, Vivaldi, Marais, Händel, J.S.
Bach, C.P.E. Bach, Liszt, Rachmaninoff, Casella, Ponce, e … Vangelis.
Nella
trascrizione fatta da Geminiani, la virtuosistica parte del violino solista
corelliano passa sostanzialmente immutata al Violino primo del concertino. Ad essa viene affiancata ex novo la parte del Violino secondo del
concertino, mentre tutto il lavoro è
modellato sul contrasto tra variazioni lente e veloci, oltre che naturalmente
sui contrasti tra “Tutti” e “Soli”, che talora si si alternano entro la stessa
variazione (per esempio, nelle variazioni 3, 9, 17, 20 e 21), ma più spesso si
rincorrono da una variazione all’altra.
[Per
render con più immediatezza apprezzabile l’opera, ci permettiamo di suggerire
all’ascoltatore di adottare una concezione a blocchi, differente
dall’individualità delle singole variazioni romantiche. Ricordiamo inoltre che
nella musica barocca la partitura viene sempre considerata come un semplice
canovaccio, sopra il quale spetterà alla personalità dell’esecutore introdurre
abbellimenti a suo gusto, e al contempo rendere più virtuosistica l’esecuzione.
Al punto che, quando l’autore non vuole interpolazioni, lo prescrive
esplicitamente (l’obbligato al quale
si è fatto accenno in precedenza). La “sacralità”, l’oggettività intangibile
del testo scritto, è un concetto che superficialmente si potrebbe dare per
scontato, e sul quale non ci si sofferma quasi mai a riflettere, ma in questo
modo è facile dimenticare che in realtà esso si affermò molto tardi, non prima
del ‘900 inoltrato].
Il Tema
(Adagio), enunciato dal Tutti, è in due parti divise nelle
canoniche 8 + 8 battute con prima cadenza sulla dominante e cadenza finale
sulla tonica. Lo schema armonico, palindromo, fa perno alla quarta e quinta
battuta su una dominante secondaria basata sul rapporto tra III e VII grado di
tonica.
Seguono
poi le variazioni, che schematizzeremo nel modo seguente:
-Variazione
1 (Adagio) Tema spezzato, poi fioriture violinistiche.
-Variazione
2 (Allegro) Arpeggi sull’armonia del
motivo.
-Variazione
3 (Allegro) Nel concertino, imitazioni affidate al violoncello.
Variazioni
4 e 5 (Allegro) Arpeggi spezzati,
nella seconda variazione spostamento dell’accento ritmico.
Variazioni
6 e 7 (Allegro) Uno stesso
virtuosistico motivo in semicrome è eseguito dal Primo violino, poi dal
violoncello.
-Variazione
8 (Adagio) Prima cesura tra i blocchi di variazioni.
-Variazioni
9 e 10 (Allegro-Vivace, Allegro in
3/8) Basate su effetti violinistici quasi di tremolo nella prima, di picchiettato
nella seconda.
-Variazione
11 (Andante in 4/4) In stile patetico
e vocalistico.
-Variazione
12 (Allegro in 4/4) Di nuovo arpeggi,
ma con cambio di metro.
-Variazioni
13, 14 e 15 (Adagio in 12/8, poi Adagio in 3/4) Ripetizione di una figura
in rapide semicrome discendenti nella prima, fioriture ed abbellimenti ad libitum nelle altre due.
-Variazione
16 (Allegro) Sovrapposizione
complessa di ritmi.
-Variazione
17 (Allegro) Basata su uno staccato discendente.
-Variazione
18 (Allegro) Nel concertino, imitazioni affidate al Secondo violino.
-Variazione
19 (Adagio) Nuova cesura con una
variazione in tempo molto lento, che prepara il blocco finale.
-Variazioni
20 e 21 (Allegro) Progressivo aumento
della velocità, su un ritmo in terzine dal carattere più danzante.
-Variazioni
22 e 23 (Allegro) Riproposizioni
finali del tema da parte del Tutti
sopra il tremolo del Primo violino,
poi del violoncello, prima dell’inciso cadenzale conclusivo ripetuto tre volte.
[A cura di Massimo Sacchi]
Orchestra da camera della città di Legnano Franz Joseph Haydn
sito web: www.orchestralegnano.org
e-mail: orchestralegnano@alice.it
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